Cavalli di plastica, poetica degli oggetti e rituali creativi
- FrancesFool

- 10 ott
- Tempo di lettura: 4 min
Questa mattina stavo buttando via un cavallino di plastica vecchio e scolorito, un regalo per mia figlia che non ho mai sopportato. A lei è sempre piaciuto molto. Come per qualsiasi altro oggetto che si ritrova davanti si mostra curiosa e sviluppa dopo un tempo diabolicamente piccolo un rapporto affettivo senza senso. È bello in fondo, penso a volte, essere così liberi da condizionamenti estetici. Mettere insieme le cose, nuove e vecchie senza quella smania di coerenza e perfezione forse è un atto insensato, ma anche un rituale creativo potente. In fondo la vita è piena di contraddizioni e nosense. In effetti quando disegno una forma che mi piace particolarmente o modello un vaso che mi emoziona è perché riesco a creare un collegamento fra stili diversi e mondi che sembrano lontani. Forse la creatività si trova passando per il barocco, per l’eccessivo, per il rischio di sembrare kitsch (un vero incubo per me, lo giuro!).

Il purgatorio dei giochi
Ma torniamo al cavallino. Ero lì lì per metterlo nel sacco della plastica. Mi sentivo davvero audace in quel momento. Ma ecco che una vocina da non so dove rompe la poesia:
Perché mi vuoi buttare? Se non vuoi più concedermi alle cure amorevoli e spasmodiche di tua figlia almeno donami ad un bambino che ha bisogno del mio calore.
Quella vocina soave proveniva proprio dal cavallino.
Dici sul serio? Pensai.
Con un piccolo ma punzecchiante senso di colpa ho ripreso il cavallino, e l’ho messo lì nel purgatorio dei giochi di mia figlia in attesa di ispirazione.
Arte dell’accumulo vs decluttering: 1 a 0.

Una poetica malinconica e preziosa
Anche se, devo dire, mi sentivo un po’ confusa dai miei sentimenti bipolari credo che Gaston Bachelard sarebbe stato davvero fiero di me e mi avrebbe incoronata portavoce di una nuova poetica dello spazio.
Non serve un genio per capire che in fondo quel cavallo è il simbolo di qualcosa che non voglio abbandonare. Ma non solo: forse ha una suo peso specifico nell'equilibrio della mia casa e forse della mia anima. Ecco perché mi ha parlato.
Piccola nota curiosa: ho cercato su Google quando fosse nato Bachelard e ho scoperto che è nato il mio stesso giorno, il 27 giugno. Cancerino senza speranza! Posso giurare che ci avrei scommesso tutto. Ho riconosciuto subito quel tipo di malinconia domestica: da ragazzina avevo un cassetto pieno di lettere ricevute dalle mie amiche, foto e oggetti vari ed eventuali. I ricordi mi hanno invasa.
Tacchi alti, creatività e capitalismo
Ho ripensato al mio rapporto con gli oggetti e ho capito che è stato davvero altalenante.
Durante la post-adolescenza il mio spirito critico verso la società si accese e persi un po’ di quella magia di cassetti segreti. Iniziai a vedere gli oggetti come il simbolo del capitalismo sfrenato e ad additarli come i fautori del nostro declino etico. E non solo gli oggetti, tutto ciò che rappresentava il mondo materiale: il corpo, i soldi, la casa diventarono sporchi e “bassi”. Abbandonai i tacchi alti che avevo provato ad indossare in maniera davvero ridicola e iniziai a vestirmi in maniera più punk.
Le parole e le immagini immateriali divennero il mio universo rivoluzionario.
Simboli preziosi
Mentre frequentavo l'Accademia di Brera conobbi però Mircea Eliade e Marcel Mauss ed entrai per la prima volta in contatto con la ricerca antropologica sui popoli primitivi. Trovai interessante notare come tutti i popoli, che erano profondamente ecologici, credevano che ogni oggetto ed essere vivente avesse un’anima e un potere sulla realtà. Non sapevo ancora quanto mia figlia avesse ragione!
Un vaso, una scultura, una ciotola, un’arma diventavano simboli preziosi di una varietà di senso ed esseri diversi e in ugual modo importanti per l'equilibrio del mondo.
Quanto siamo lontani anni luce da questo come società?
Tutto questo mi rimise in contatto con gli oggetti e mi tolse anche un pò di spocchia, diciamo la verità.
Rituali creativi e poetica degli oggetti
Da quel momento il rapporto con gli oggetti è cambiato drasticamente. Ora gli oggetti hanno acquisito un valore simbolico e poetico che cerco di custodire e celebrare sempre. Gli oggetti sono diventati i protagonisti di rituali creativi che mantengono saldo il mio equilibrio emotivo. Sono un ponte fra me e un mondo interiore a volte straripante che m'invade.
Fra vuoto e pieno, accumulo e consumismo, poesia e materia, oggetto e immagine cosa c’è?
Ho iniziato a farmi queste domande partendo proprio dalla mia casa.
Iniziare dallo spazio
Tutti vogliamo la pace, inutile dirlo. Ma tutti abbiamo anche una voglia estrema di esprimere la nostra vitalità. A volte queste due urgenze sembrano non coincidere. Per questo credo ho iniziato a creare rituali creativi per far parlare queste parti che a volte non si capiscono.
Per me un rituale è un atto di fiducia a cui si torna con ciclicità. E' un gesto fatto con un senso, che è carico di storia, che viene abitato da un desiderio di un futuro in cui le cose non sono per forza migliori, ma sono più vere, più profonde, più complici. Questo rituale però deve essere mio e solo mio. Così lo penso e cerco sempre di inserirlo in un momento di creatività pura.

Inizio sempre dal riappropriarmi dello spazio che abito. Vi racconto come nel prossimo articolo.
Se hai voglia anche tu di immergerti in questo viaggio scarica la mia guida Muse Terrae e scopri come iniziare a far diventare la tua vita un grande rituale creativo.




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