Il corpo come strumento di conoscenza
- FrancesFool

- 23 feb 2023
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 6 giu
Quando ero piccola, ricordo che ero considerata "una bella bambina": gli altri nutrivano la mia vanità e mi sentivo fiera come un leone. So che potrebbe sembrare un po’ arrogante… Ma ehy! Ero solo una bambina, no?!? Poi arrivarono le due montagnette sul mio petto e il fiume rosso a me sconosciuti ed mi sentiii cambiare e diventare davvero, davvero brutta! Ricordo che la mia vanità in quel momento fu ferita… Ma, ehy! Ero solo una ragazzina, no?!?
Mi chiusi in me stessa e diventai molto timida, entrando in una fase di continuo camuffamento.
I miei camuffamenti erano però sempre diversi, e potevo passare dall’indossare tacchi che mi facevano apparire sicura di me stessa-ma su cui non riuscivo nemmeno a camminare-, a pantaloni enormi stile b-girl, fino alle magliettone punk-rock-grunge che diventarono infine il mio nascondiglio preferito.
Scoprii in quel periodo che cambiare vestito è un modo per cambiare identità agli occhi degli altri e che io non riuscivo a stare dentro un’identità sola. Ma ehy! Non sono borderline! Preferisco definirmi un'esploratrice di altri mondi.

Zampettando timidamente arrivai così alle superiori.
In quel periodo il computer era una novità e iniziavo a scoprire che poteva essere anche una navicella spaziale pronta a portarti in luoghi assurdi…ma con i suoi tempi, pleaaaaase!

Un giorno, durante una lezione di informatica, la navicella mi portò nella scuola di un teatro di Milano che sembrava una cantina. Assomigliava tanto al mio camuffamento più recente: oscuro, ombroso, strano, con una profondità viscerale in cui mi specchiavo completamente e con una promessa di svelamento del sé che diventò il mio Sacro Graal. Decisi di fermarmi su quel pianeta per un po’.
Inizialmente, il viaggio di avanscoperta sembrava anche noioso: non facevo altro che incontrare la mia timidezza.
"Ma come?" pensavo “credevo che avrei scoperto nuovi volti e invece sempre quello scheletrico -che ormai non mi spaventa nemmeno più- della mia timidezza!”
Ci misi in un po’ di tempo per capire che se volevo davvero incontrare altro dovevo parlarci con quella noiosa presenza che ormai monopolizzava la mia anima. E così iniziai, ma a quel punto ero talmente arrabbiata che ci discutevo ore ed ore, giorni e giorni, finché finalmente la presenza noiosa sbottò così forte che uscì fuori dal mio corpo. L'avevo disinstallata -per sfinimento- dal mio sistema! Ero libera!
Lei se ne andava in giro a raccontare di se stessa mentre io incontravo finalmente altri personaggi che popolavano la mia anima.
Scoprii in quel periodo che cambiare vestito significa anche porre una domanda alla nostra anima per capire se è provvista delle giuste risorse che ci servono per essere diversi e più felici rispetto a come siamo sempre stati. Ma la domanda più importante che arrivò fù: Chi sono? Qual è il mio valore dal momento che il valore della bellezza, dell’innocenza, e persino della timidezza è svanito così velocemente dalla mia vita? Erano domande che prima non osavo pormi e che più avanti ho pensato essere state portate da un Daimon, come dice James Hillman.

Daimon o non Daimon, non era facile, comunque, devo dire. Mentre la mia timidezza mi riparava nel suo bozzolo, queste domande invece non erano per niente rassicuranti.
Così, cercai le risposte nel teatro che era stato il caposquadra di questi traslochi interiori. Mi affidai alle loro tecniche che sembravano snobbare la parola in favore del corpo.
Il corpo...ma alla fine, che cos'era per me questo corpo di cui continuavano a parlare tanto? Non era più, appunto, un'immagine rassicurante o attraente; mi sembrava,piuttosto solo un peso limitante attraverso il quale gli altri ti definiscono e ti giudicano in continuazione.
Nonostante ciò, mi affidai.
Ricordo che uno dei primi esercizi che proposero fu quello d’incarnare un elemento: essere come la terra, come l'aria, il fuoco, l'acqua, senza usare la parola e senza usare la mimica, ma provando a restituire un'immagine viva e brillante attraverso le sensazioni e la dinamica di ogni elemento. Questo esercizio complesso che ti permetteva di concentrarti non più sullo sguardo, ma su tutti gli altri sensi oltre la vista, era qualcosa di così liberatorio, piacevole e nuovo che mi fece davvero entrare in uno spazio nuovo.
Capii così che avere un corpo non significa solo avere un’immagine che ti limita, ma significa soprattutto avere uno strumento che è protagonista del mondo perché lo sente e lo interpreta in modo sempre originale e sorprendente. Queste sensazioni sono la vera navicella che può portarci lontano in alto e in basso e scoprire sempre più cose nostre e del mondo che ci circonda. Per sentirlo e sentirlo senza esserne sopraffatti è però condizione necessaria creare una via d'uscita per le immagini che ci siamo o che ci hanno appiccicato addosso e che si sono impiantate in noi come caratteristiche indissolubili: bellezza, innocenza, timidezza, paura, etc... sono solo parole che nascondono arcobaleni in cui tuffarsi senza rete di protezione alcuna.
E tu?

Puoi raccontarmi dei tuoi coinquilini fastidiosi, di nuovi sistemi operativi e di backup consolatori nei commenti qui sotto o con un piccione viaggiatore, se lo preferisci.




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